“Forti di un programma che guarda al futuro dedicheremo con questa squadra le nostri migliori energie e competenze, la nostra passione a rendere l’Italia migliore nell’interesse di tutti i cittadini, da Nord a Sud”. Sono queste le brevi parole che Giuseppe Conte ha pronunciato dopo aver letto la lista dei ministri del secondo governo da lui presieduto, dopo aver avuto il via libera del Capo dello Stato. Un governo di “tutti i cittadini”. Del popolo, verrebbe da dire, se il termine non fosse stato logorato da un prolungato uso strumentale. Sì, perché anche questo governo nasce da una manifestazione della volontà popolare, secondo quanto prevede la nostra Costituzione. Senza una maggioranza in Parlamento, dove siedono i rappresentanti eletti dai cittadini, nessun governo potrebbe infatti sussistere.
Dei 21 ministri, dieci sono espressione del M5S, nove del Pd, uno di Leu (la cui piccola rappresentanza è però decisiva al Senato) e la lista si completa con un tecnico in un ruolo di primissimo piano, quello di ministro degli Interni.
Al Viminale sarà Luciana Lamorgese, già prefetto di Milano, a ricoprire l’incarico che nel precedente esecutivo è stato di Matteo Salvini. Con Lamorgese ci sono altre sei donne nella compagine di governo, che nel complesso si presenta piuttosto giovane, anche se con persone di grande esperienza in alcuni posti strategici. Come il ministero dell’Economia, appannaggio di Roberto Gualtieri (Pd), presidente della commissione economica del Parlamento di Strasburgo e uno degli italiani più conosciuti e stimati a livello europeo.
Se è giusto mettere in evidenza il dosaggio degli equilibri faticosamente raggiunti (ma è stato ancor più faticoso nella precedente occasione) tra le forze della nuova maggioranza, la sfida che ha davanti Conte è proprio quella di far lavorare un governo unitario con un programma condiviso. L’esperienza da non ripetere è quella dei due governi in uno, tenuti insieme da un “contratto” in cui erano giustapposte le istanze dei due partiti premiati dalle elezioni a cui però – è sempre bene ricordarlo – avevano partecipato in competizione tra loro.
E’ una sfida, non un risultato già conseguito, e molto dipenderà proprio della figura del Presidente del Consiglio che rispetto al suo debutto in politica ha acquisito uno spessore e una rilevanza addirittura sorprendenti. Di sé ha detto di essere stato indicato dal M5S, ma di non appartenere al Movimento i cui iscritti, peraltro, lo hanno appoggiato in misura massiccia con il voto telematico sulla piattaforma Rousseau.
La lista dei ministri vede in un posto tradizionalmente di prestigio, gli Esteri, il capo politico dei Cinquestelle, Luigi Di Maio, che pare sia il più giovane titolare della Farnesina della storia repubblicana. I due incarichi che Di Maio aveva nel precedente esecutivo sono stati separati, ma sono rimasti in casa grillina, con Nunzia Catalfo al Lavoro e Stefano Patuanelli allo Sviluppo economico. Alla Difesa c’è Lorenzo Guerini (Pd), mentre alla Giustizia è stato confermato Alfonso Bonafede (M5S). Alle Infrastrutture e alle Politiche agricole troviamo rispettivamente Paola De Micheli e Teresa Bellanova, entrambe del Pd. Lorenzo Fioramonti (M5S) è il nuovo ministro dell’Istruzione dopo essere stato vice nella precedente compagine. Sergio Costa (M5S) conserva l’incarico all’Ambiente. Alla Salute il ministro è Roberto Speranza (Leu). Del M5S sono i titolari dei Rapporti con il Parlamento (Federico D’Incà), del nuovo dicastero dell’Innovazione (Paola Pisano), della Pubblica amministrazione (Fabiana Dadone), dello Sport e delle politiche giovanili (Vincenzo Spadafora). Del Pd sono i ministri dei Beni culturali e Turismo (Dario Franceschini), degli Affari regionali (Francesco Boccia), del Sud (Giuseppe Provenzano), di Pari opportunità e famiglia (Elena Bonetti), degli Affari europei (Vincenzo Amendola). Il pentastellato Riccardo Fraccaro sarà il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, un ruolo molto delicato su cui si sarebbe consumato l’ultimo braccio di ferro nella fase di formazione dell’esecutivo.
E ora “una volta che, in base alle indicazioni di una maggioranza parlamentare, si è formato un governo, la parola compete al Parlamento e al Governo”. E’ stato lo stesso Capo dello Stato a sottolinearlo, con un sintetico quanto efficace richiamo alla Costituzione, in un saluto ai giornalisti che a fine giornata ancora affollavano la sala stampa del Quirinale. Un Sergio Mattarella finalmente sorridente, dopo essere riuscito ancora una volta a consentire che i partiti rappresentati in Parlamento assicurassero un governo al Paese in un quadro politico a dir poco complicato. Il Presidente ha anche colto l’occasione per riaffermare “l’importanza e il valore della libera stampa”. “Per me – ha raccontato – è stato di grande interesse leggere ogni mattina, sui giornali stampati oppure on-line, o ascoltare la sera in tv, le cronache e le interpretazioni dei fatti da diversi punti di vista. Questo confronto tra prospettive differenti, opinioni diverse e diverse valutazioni, è prezioso per me, come per chiunque”.