Cinque militari italiani, tre incursori della Marina e due dell’Esercito, sono rimasti feriti ieri nell’esplosione di un ordigno improvvisato (led) su una strada vicino Kirkuk, in Iraq. Al momento dello scoppio – secondo quanto riferito da una nota del ministero della Difesa – il gruppo di militari italiani, tutti appartenenti alle Forze Speciali, stava facendo rientro alla base di appoggio dopo l’attività di mentoring e training svolta in una zona di Suleymania, nel Kurdistan iracheno. Il team italiano era impegnato a favore di forze di sicurezza locali – in particolare forze speciali dei peshmerga – che operano nel territorio. Parthica / Inherent Resolve, questo il nome dell’operazione della coalizione multinazionale contro lo Stato Islamico in Siria e in Iraq cui partecipano 79 paesi, tra cui l’Italia e 5 Organizzazioni internazionali. Il contributo italiano alla missione, iniziata il 14 ottobre 2014, prevede un impiego massimo di 1.100 militari, 305 mezzi terresti e 12 mezzi aerei. Una missione che prevede sopratutto l’addestramento delle forze di sicurezza curde ed irachene, con i soldati italiani italiano dislocati tra Erbil, nel Kurdistan iracheno, e Baghdad.
“Il nucleo italiano procedeva in parte a piedi, in parte su mezzi blindati. I cinque militari coinvolti dall’esplosione – si legge ancora – sono stati prontamente soccorsi, evacuati con elicotteri Usa facenti parte della coalizione e trasportati in un ospedale Role 3”.
Qui hanno ricevuto le cure del caso. Tre dei cinque militari versano in condizioni gravi ma non sarebbero in pericolo di vita. Ad almeno uno, un sottufficiale dell’esercito, è stata amputata una gamba, un altro ha subito lesioni interne, un terzo, un giovane ufficiale della Marina militare, ha subito un danno al piede. Le famiglie dei militari sono state informate”. Il contingente militare italiano (composto da 1.100 uomini) sono in Iraq nel quadro della missione Prima Parthica, che opera nell’ambito dell’operazione internazionale per fornire assistenza e addestramento alle forze irachene impegnate contro le ultime milizie dello Stato Islamico. L’attentato ricorda quello accaduto il 12 novembre 2003, a Nassiriya che fece 28 morti, dei quali 19 italiani e nove iracheni.
“Con profonda sofferenza – scrive mons. Santo Marcianò, arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia, in un comunicato – ho appreso la notizia del grave attentato che ha colpito in Iraq cinque militari italiani, che, con grande competenza, passione, dedizione, prestavano il proprio servizio per l’addestramento delle Forze di Sicurezza irachene contro il terrorismo. Assieme a tutta la Chiesa dell’Ordinariato Militare, abbracciamo con commozione i familiari, esprimendo la vicinanza nella preghiera e nella speranza affinché le condizioni dei feriti possano migliorare e le loro sofferenze siano alleviate”. Mons. Marcianò ricorda con dolore anche la strage di Nassiriya, di cui domani ricorre l’anniversario, per “confermare
profonda stima e gratitudine per l’opera di grande valore professionale che le nostre Forze Armate offrono a tanti popoli in situazioni di conflitto,
e implorare Dio perché il loro impegno di custodia della persona umana e della pace, a volte pagato con la vita o con gravi ferite e mutilazioni, contribuisca a sostituire il clima di terrore e odio violento con la logica del rispetto e della carità fraterna”. Messaggi di solidarietà per i militari rimasti feriti sono giunti dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dal ministro degli Esteri, Luigi di Maio, da quello della Difesa, Lorenzo Guerini e dai vari leader di partito.
L’Iraq da settimane è percorso da imponenti manifestazioni antigovernative. Gli scontri tra i manifestanti e le forze di sicurezza hanno provocato sino ad ora oltre 300 morti e migliaia di feriti. I dimostranti chiedono diritti, lavoro, servizi migliori, la fine della corruzione e adesso anche le dimissioni di tutti i leader politici e un totale rinnovamento del sistema politico nato dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003. Il primo ministro, Adel Abdelmahdi, ha annunciato una nuova serie di riforme, che però non sembrano aver placato la piazza.