Nell’appuntamento settimanale di questa settimana Chiesa di Casa, il talk di approfondimento pastorale, guarda all’archivio storico diocesano e alla biblioteca del Seminario. Una puntata, quella condotta da Riccardo Mancabelli, che svela la vitalità di questi luoghi di cultura. I due ospiti intervenuti sono don Paolo Fusar Imperatore, direttore delle due realtà, insieme a Roberta Aglio, una delle due bibliotecarie, in collegamento proprio dal Seminario.
«Archivio e biblioteca non sono la stessa cosa – spiega con una battuta don Paolo Fusar Imperatore –. Di solito definisco carte “silenziose” quelle dell’archivio, perché si tratta di enti che producono e tengono nascoste le loro cose, perché servono a chi ci lavora sopra; le biblioteche, invece, sono enti un po’ più “chiacchieroni” perché riguardano chi pubblica e per questo vuol far sapere».
In particolare, l’Archivio storico diocesano conserva la documentazione dell’ente Diocesi, che ha vita molto lunga: «Fondi continui sono risalenti solo al XIX sec, ma ci sono addirittura alcune pergamene che raggiungono primo millennio».
Dal dialogo, è emerso come questa documentazione sia interessante per chiunque: non tanto perché conserva un patrimonio fine a se stesso, quanto piuttosto perché è indice di una cultura viva. «Il deposito dell’archivio è un mondo di persone che gridano le loro idee. Spiega una vita in opera di vescovi, curia e movimenti, ma anche di qualche parrocchia e sicuramente di enti importanti. Per esempio, la Fabbriceria della Cattedrale è il fondo più importante dal punto di vista di quello che si può trovare».
La curiosità per questi scrigni di cultura sorge quindi spontanea e ci si domanda quale sia la loro origine, che contenuti accolgano e quanto questo sia fruibile.
È la Biblioteca, naturalmente, il luogo più aperto: «Nasce con il Seminario stesso – spiega Roberta Aglio – cioè nella seconda metà XVI secolo. Fino a circa quindici anni fa era aperta solo a seminaristi, sacerdoti e talvolta ad alcuni studiosi che avevano necessità di accedere al fondo antico». Si intuisce, dunque, che «la specificità dell’utenza, all’inizio, era religiosa. Invece, dal 2017 la biblioteca è aperta a tutta l’utenza, secondo l’ottica impostata dalla Cei con il progetto Cei-bib, il polo delle biblioteche ecclesiastiche legato al sistema bibliotecario nazionale, al quale aderiamo dal 2009. Oggi, c’è anche un fondo moderno che nel corso degli anni abbiamo arricchito e i nostri utenti sono eterogenei: appassionati di saggistica, narrativa, ma anche bambini che partecipano a progetti con il consultorio Ucipem e con Filiera corta solidale, tanto che abbiamo cominciato ad occuparci anche di letteratura per l’infanzia. Inoltre, abbiamo ricercatori e studenti universitari e delle superiori». Si intuisce, dunque, il sempre più incisivo rapporto con la scuola «come dice la presenza nel Seminario del liceo Vida: offrendo la possibilità di una conoscenza diretta del libro antico, forniamo anche agli insegnanti materiali concreti utilizzabili a scopo didattico».
Così, anche durante la pandemia, di momenti “morti” ce ne sono stati pochi: «Negli ultimi due anni abbiamo avuto la possibilità di ripensare la sala consultazione a misura di studente, anche perché nel complesso del Seminario si è trasferita anche la scuola primaria Canossa». La didattica e il sapere, comunque, vanno di pari passo con lo “svago”: «Si possono naturalmente prendere libri in prestito solo per il gusto di leggere».
Evidente testimonianza di una vita ancora pulsante, piuttosto che di un accatastarsi di nozioni, il patrimonio librario diocesano viene curato dai suoi custodi, archivisti e bibliotecari. «Chi ha le chiavi deve aprire e distribuire» afferma il direttore Fusar Imperatore usando l’immagine petrina, ma questo «non è in contrasto con ciò che ciascuno è chiamato a fare, cioè studiare il proprio fondo». L’esito di un’avventura di conoscenza non compiaciuta di se stessa è apertura e disponibilità al prossimo, quindi strumento di incontro e condivisione: «L’invito da rivolgere agli universitari sarebbe quello di lavorare “in cordata”: alcuni lavori sono praticamente una miniera, tanto che ormai, da soli, non si riesce più ad affrontarli. La vera tutela – aggiunge il sacerdote – è lo studio, oltre che riordinare le carte, fare indici, inventari. Tutto ciò permette, o vuole permettere, la produzione di qualcosa di culturale. È da costruire, ma ora abbiamo altre possibilità, come il nuovo Museo diocesano, trampolino per mostrare i frutti di questa cultura».
Fra libri antichi e moderni, di portata notevole è la ricchezza derivata dalle specificità del territorio, anche se la profondità delle radici nasconde «una fatica, dovuta al fatto, ad esempio, che ogni parrocchia qui in Lombardia ha una tradizione almeno ottocentesca», come ricorda il direttore dell’archivio diocesano.
Infine, siccome «il concetto di preziosità correlato al contenuto, cioè alla storia che gli oggetti raccontano», Roberta Aglio ha mostrato alcune delle opere più sbalorditive che si trovano presso la biblioteca del Seminario: da una Cinquecentina fatta rilegare da committenti regali, fino a un libro proveniente dal Giappone. Gioielli che ciascuno può scoprire proprio diventando di casa nella Biblioteca del Seminario.