«Chi cancella il volto dell’uomo scatena guerre e semina morte». La vera potenza non è quella del predominio, «ma quella che fa vivere il volto dell’altro, che dona la vita per la vita dell’altro e solo così cancella la morte». Ed è questa «la potenza che Dio affida al vostro servizio: di difesa della vita e che trasforma in vita ciò che altrimenti sarebbe morte». Così l’arcivescovo Santo Marcianò, ordinario militare per l’Italia, si è rivolto ai militari e alle forze dell’ordine radunate nella mattina di giovedì 7 aprile in Cattedrale per il Precetto pasquale, la celebrazione per le forze armate e le forze di polizia in preparazione alla Pasqua. A presiederlo, per la prima volta a Cremona, il loro vescovo: l’Ordinariato militare, infatti, è l’equivalente di diocesi con speciale giurisdizione su tutte le parrocchie e cappellanie militari e delle forze armate.
Soldati della Col di Lana, poliziotti, carabinieri e finanzieri di tutto il territorio, agenti della polizia penitenziara, vigili del fuoco e polizia locale, crocerossine e 118. Esercito insieme a forze di polizia e di pronto intervento erano tutte rappresentate nel Duomo di Cremona, insieme alle massime autorità locali. A cominciare dal nuovo prefetto Corrado Conforti Gallo, il neoquestore Michele Davide Sinigaglia affiancati dalla rappresentanza del Comune di Cremona con l’assessora Barbara Manfredini e il consigliere regionale Federico Lena.
In prima fila anche il generale di corpo d’armata Fabrizio Carrarini, comandante interregionale dell’Italia Nord Occidentale della Guardia di Finanza, il generale Stefano Screpanti, comandante regionale della Guardia di Finanza, il generale di brigata Andrea Taurelli Salimbeni, comandante della Legione Carabinieri Lombardia, e il generale Alfonso Miro, del Comando militare Esercito Lombardia. Insieme, naturalmente, ai comandanti locali.
Sull’altare due carabinieri in alta uniforme e alle spalle i gonfaloni delle varie associazioni combattentistiche e d’arma.
A concelebrare l’Eucaristia, insieme a mons. Marcianò, il rettore della Cattedrale mons. Attilio Cibolini con i diversi cappellani, tra cui mons. Andrea Scarabello, decano regionale dei cappellani militari, che all’inizio della Messa ha ricordato il senso della celebrazione, che l’arcivescovo Marcianò avrebbe dovuto presiedere due anni fa all’inizio della pandemia che ora apre le celebrazioni sul territorio regionale.
Tra i cappellani presenti anche alcuni cremonesi: don Andrea Aldovini, cappellano presso la parrocchia militare S. Barbara della Caserma “Col di Lana” di Cremona e don Roberto Musa cappellano della Casa Circondariale di Cremona, insieme a don Graziano Ghisolfi, che ha diretto la selezione del Coro della Cattedrale che ha animato la celebrazione eucaristica.
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«Con questa celebrazione eucaristica per prepararsi insieme alla Pasqua, la memoria della passione, morte e risurrezione di Gesù ci toccherà il cuore, ci aiuterà a guardare al nostro dolore e del mondo, con sguardo di speranza» ha affermato l’arcivescovo aprendo la celebrazione. «Siamo in un tempo di morte, la quale occupa la cronaca di ogni giorno molto più di altre notizie – ha proseguito l’ordinario militare – Da poco più di due anni ormai siamo avvezzi ad ascoltare il conteggio delle morti quotidiane per covid, un tipo di morte nuova perché si consuma nell’isolamento».
La più stringente attualità è quindi stata al centro della riflessione di monignor Marcianò: «Da poco più di un mese la morte è diventata l’altra faccia della guerra. Non sono nuove le terrificanti immagini che vediamo, perché come ci ricorda il Papa la guerra ha sempre abitato il cuore dell’uomo, perché inizia da lì. Accanto rimangono le immagini delle violenze quotidiane, gli omicidi, gli abusi, i crimini, le stragi di migranti ingoiati dal mare o respinti alle frontiere, delle morti a causa di ingiustizie, fame e persecuzioni religiose, e di tante malattie, anche causate dalla malattia della terra che continuiamo ad avvelenare senza alcun ritegno. La morte ci è dinnanzi. Dinnanzi a voi che la toccate nel vostro servizio quotidiano».
Quindi, non è mancato nemmeno il ricordo dei momenti più terribili vissuti dalla comunità lombarda all’inizio della pandemia: «In questa regione avete vissuto con drammaticità la diffusione del covid, che ha richiesto il vostro sostegno pronto e competente: penso al campo della sanità, alla preparazione delle strutture, la salvaguardia dell’ordine, la campagna vaccinale. Voi siete stati e siete sempre impegnati nella difesa da ogni violenza, crimine, illegalità, corruzione come pure nell’accoglienza degli stranieri».
Mons. Marcianò ha quindi proseguito con una spiegazione dell’amore paterno di Dio, in contrasto con l’idea umana di potere: «È drammatico pensare che la morte ci è dinnanzi, sembra una scena che non cambia, ed anzi peggiora. Ma Gesù come fa a dire che non vedremo più la morte in eterno? Come faremmo a celebrare la Pasqua se non ci credessimo, che cristiani saremmo? Ma la Parola di Dio sfida le parole umane e ci sfida a trovare nuovi significati. Come nella prima lettura, dove Dio promette ad Abramo di dargli le terre dove lui era straniero. Se ci pensiamo bene è per una sete di potenza che molte guerre si consumano, per il desiderio di espandersi e dominare con spirito di totalitarismo e sovranismi nazionalisti come stiamo assistendo in Ucraina».
E ha proseguito: «La promessa di Dio ad Abramo è diversa: non è un progetto di egemonia, ma di paternità. Possiamo, forse, intravedere in queste parole – ha proseguito l’ordinario militare – un riferimento al senso profondo del governo, alla responsabilità politica degli uomini e delle istituzioni, la cui vocazione è custodire con la logica e lo stile del padre, la cui vocazione è prendersi cura dei cittadini, dell’ambiente e della comunità, entrando sempre più in una dimensione che considera il mondo intero come comunità».
Infine, nell’omelia la risposta alla presenza della morte posta all’inizio della riflessione: «Non dimentichiamo che c’è un’altra potenza, quella che fa vivere il volto dell’altro, dona la vita per l’altro e solo così cancella la morte: è la potenza che Dio affida al vostro servizio, di difesa della vita, e che trasforma in vita ciò che altrimenti sarebbe morte». Quindi l’augurio pasquale, espresso nella consapevolezza che «nel vostro servizio il Signore vi è vicino: anche nei momenti difficili alzate lo sguardo verso il cielo e vi troverete il respiro della speranza, il senso della sofferenza e la luce della Pasqua in cui Cristo vince la morte in eterno: è risorto!».
Al termine dell’Eucarestia, dopo la preghiera della Patria, ha quindi preso la parola il generale Alfonso Miro, comandante Militare Esercito Lombardia, il quale ha voluto ribadire il proprio ringraziamento per l’ospitalità in Cattedrale e all’arcivescovo per la sua presenza: «Ci troviamo in una situazione estremamente difficile dopo le difficoltà di due anni di pandemia purtroppo vediamo unirsi un’altra grande emergenza che non ci aspettavamo e che sconvolge i nostri cuori. Le forze armate e tutte le istituzioni operano con il massimo impegno e disponibilità per dare il proprio contributo: mi permetto di auspicare che la preghiera sia momento di ispirazione per coloro che hanno capacità decisionali affinché i loro atti siano adeguati per risolvere le sofferenze che ci riguardano più o meno direttamente».
Prima della benedizione finale non è mancato il saluto del vescovo di Cremona Antonio Napolioni che ha voluto sottolineare come «a Cremona si respira un’aria di fraternità, corresponsabilità e amicizia fra tutti coloro che a vario titolo servono la collettività. Questo aspetto, in tempi difficili quali quelli che abbiamo attraversato, è stato un punto fermo al quale abbiamo potuto sempre fare riferimento». Parole a cui è seguito il grazie alle Istituzioni e agli uomini e donne che quotidianamente operano sul campo che permettono di essere «un vero paese di pace».
Prima della benedizione finale l’arcivescovo militare ha voluto ricordare la figura di don Primo Mazzolari, che fu cappellano militare, e per il quale è in corso il processo di beatificazione, garantendo il supporto dell’Ordinariato nella ricerca di tutte le documentazioni necessarie per il riconoscimento di quella santità «che ci ha formato e che tutti riconosciamo».
Una festa continuata nell’informalità tra i partecipanti, in particolare sulla piazza dove erano schierati i mezzi di servizio e alcuni cani in servizio alla Polizia di Stato.