Nel pomeriggio del 14 aprile, Venerdì Santo, il vescovo Antonio Napolioni ha presieduto in Cattedrale l’Azione liturgica della Passione e Morte di Gesù. Una celebrazione iniziata nel più completo silenzio, con una breve sosta di preghiera durante la quale il Vescovo si è prostrato ai piedi dell’altare.
Quindi la liturgia della Parola, che ha avuto come centro il racconto che narra la storia di un Dio che accetta di donarsi fino in fondo e per questo affronta la sofferenza e la morte. Dopo la lettura del Passio – proposto dal diacono Nicola Premoli insieme ai seminaristi Arrigo Duranti e Andrea Bassani – la riflessione del Vescovo che, richiamandosi al prologo di Giovanni, si è interrogato su come quella Parola che si è fatta carne ora sia diventata cadavere. Come, dunque, far sì che la Parola non muoia, pur rispettandone il silenzio? Quel silenzio d’amore che – ha sottolineato il Vescovo – non si risparmia il dolore, non lo ignora e vi si accosta con rispetto, ma anche lo sposa con tutta la drammaticità e la fecondità che sprigiona. Una Parola che diventa silenzio nella morte, ma perché esploda il Vangelo. «La Buona Notizia – ha spiegato mons. Napolioni – che non è il lieto fine, ma l’inizio dei tempi nuovi»
Il Vescovo ha quindi ripreso le domande poste da Gesù. E quel «Chi cercate» oggi è rivolta a ciascuno. «È tempo che i cristiani – ha proseguito il Presule – imparino che cosa vuol dire discernere». Così il «Tu lo dici» si traduce in un chiaro inviato a prendere una posizione chiara nella vita. E ancora: «Sta a noi decidere dov’è il Signore, che cosa ne facciamo nella nostra vita, fin dove lo portiamo nella realtà». L’impegno è quello di essere testimoni. «Ma non per considerarci degli eroi – ha precisato il Vescovo – quanto piuttosto perché la comunione con lui è tutto per noi e diventa cemento anche della comunione con gli altri».
Un Venerdì Santo nel silenzio, dunque, che tappa la bocca da ogni pettegolezzo e, risvegliando la coscienza, porta a mettersi in cammino.
La liturgia è continuata con la “preghiera universale”, nella quale si è pregato per la santa Chiesa, il Papa, il Vescovo e i sacerdoti, i catecumeni, l’unità dei cristiani, gli ebrei, i non cristiani, coloro che non credono in Dio, i governanti e i tribolati.
Poi è stata portata la Croce, per la solenne adorazione. Croce non come strumento di morte, ma come segno di salvezza; non come strumento di condanna, ma come segno di liberazione; non come strumento di umiliazione, ma come segno di esaltazione. Per tre volte il Vescovo, mostrando la croce, ha cantato «Ecco il legno della Croce, al quale fu appeso il Cristo, Salvatore del mondo». Poi tutti hanno reso omaggio al Crocifisso, baciandolo.
Infine la celebrazione si è conclusa con la Comunione eucaristica: nel Venerdì Santo nessuna consacrazione, così sono state portate all’altare le particole consacrate il giorno precedente.
Accanto al Vescovo i canonici del Capitolo della Cattedrale e alcuni sacerdoti della città.
Il servizio liturgico è stato garantito dai seminaristi diocesani, mentre i canti sono stati guidati da don Graziano Ghisolfi, accompagnato all’organo dal maestro Fausto Caporali.
I fedeli sono stati quindi congedati ancora nel silenzio, senza alcuna benedizione finale. In serata alle 21 la processione cittadina della S. Spina presieduta dal Vescovo.
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