In Italia le cremazioni assumono un ruolo sempre più decisivo: si è passati dalle 110.710 sepolture nel 2013 alle 141.553 del 2016. In testa Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte. È quanto emerge dagli ultimi dati raccolti dalla Sefit Utilitalia (Servizi Funerari Italiani) sulle cremazioni effettuate nell’anno 2016 negli impianti italiani in funzione. Dietro il fenomeno una molteplicità di fattori: dalle ragioni economiche alla questione degli spazi.
L’Istat ha recentemente diffuso i dati su mortalità e popolazione 2016, anno in cui si sono registrati 615.261 decessi. Quindi l’incidenza della cremazione (per difetto, mancando i dati di 4 crematori) sul totale delle sepolture, per l’anno 2016, è del 23,01%, con un notevole incremento in termini percentuali (+1,83%, rispetto al dato 2015, che era del 21,18%).
Analizzando il dato territoriale, le regioni dove la cremazione è più sviluppata – in termini di rapporto percentuale delle cremazioni eseguite sul territorio rispetto al dato nazionale – continuano ad essere Lombardia (25,8%), Emilia-Romagna (14,6%) e Piemonte (14,3%), che dispongono del maggior numero di impianti di cremazione operativi (12 per ognuna delle tre regioni): in particolare la Lombardia è in testa con 36.590 cremazioni, segue l’Emilia-Romagna con 20.600 e il Piemonte con 20.285 cremazioni.
Anche nel 2016, così come negli anni precedenti, le città in cui viene effettuato il maggior numero di cremazioni sono Roma (12.376), Milano (10.776) e Genova (6.048), anche se si tratta spesso di cremazioni svolte per un’area che è almeno provinciale, se non ancor più estesa. A seguire, con oltre 4.000 cremazioni, Mantova (4.973), Livorno (4.719), Trecate (4.302) e Bologna (4.201).
Dietro il boom di cremazioni esiste una molteplicità di fattori. Le ragioni economiche pesano, ma all’origine della scelta vi sono anche la questione degli spazi e l’apertura della Chiesa. A spiegarlo all’Adnkronos è Pietro Barrera, responsabile Sefit: «Il boom è molto diversificato sul territorio nazionale con una differenziazione tra Nord e Sud. Indubbiamente incide il costo delle sepolture, perché la sepoltura di un’urna cineraria costa molto poco, ma un elemento che nel nostro Paese ha contribuito ad aumentare la richiesta di cremazione è stata la legittimazione di questa pratica da parte della Chiesa cattolica». Prima, infatti, la percezione popolare era quella di «un atto ostile alla religione e si riteneva che fosse una pratica anticristiana. Ora questa barriera è caduta».
C’è poi il tema della disponibilità degli spazi legato a quello dei costi. «Costruire tombe di famiglia era ed è costosissimo e richiede spazi» evidenzia ancora Barrera. Inoltre, «in molte città c’era il problema di soddisfare la richiesta crescente di loculi». Di qui «l’idea di cercare una strada alternativa per far sì che il destino della salma non richieda di per sé grande spazio e conseguentemente anche grandi spese».
La diffusa pratica della cremazione interroga i credenti
(di don Daniele Piazzi, incaricato diocesano per il Culto divino)