Ogni anno il 21 novembre, memoria liturgica della Presentazione della Beata Vergine Maria al Tempio, ricorre anche la Giornata mondiale di preghiera per le claustrali, un appuntamento speciale di riconoscenza per l’incessante dono della preghiera. Sono 25 le monache di clausura attualmente presenti nei due monasteri sul territorio diocesano: 18 sono le domenicane nel monastero di San Giuseppe presso la chiesa di San Sigismondo a Cremona, mentre sono 7 le monache dell’Ordine della Visitazione di Santa Maria nel monastero di Soresina.
Alle 17 a Cremona, nella chiesa monastica di San Sigismondo, la preghiera del Vespro sarà presieduta da don Enrico Maggi, delegato episcopale per la Vita consacrata. Giornata di preghiera speciale anche a Soresina, in particolare nella Messa delle 7 nella chiesa del Monastero della Visitazione.
Ricordare le persone di vita contemplativa che dedicano la propria esistenza al bene di tutti attraverso la forza dell’intercessione, significa innanzitutto non dimenticare l’esistenza e la necessità di Dio, centro di tutto. Tutti pregano, a modo loro. Si prega negli ospedali, si prega nelle chiese, si prega in auto o nelle case. Generalmente per domandare qualcosa, più raramente per ringraziare.
«Perché la preghiera – afferma madre Maria Caterina Aliani, priora della comunità claustrale domenicana di Cremona – è dialogo, è relazione. Il problema nasce quando dimentichiamo chi c’è dall’altra parte, e cioè Dio. Oggi l’uomo si è messo al posto di Dio e questa credo che sia, al fondo, la radice di tutti i mali. Abbiamo perso la coscienza di essere figli. La relazione giusta con Dio, il modo corretto di relazionarsi con Lui, è per noi la lode. La nostra preghiera è sempre una preghiera di lode a Colui che ci ha voluti, che ci ha creati, che ci ha dato il mondo. Ma servono silenzio e pace. Solo così è possibile cercare il volto di Dio». Dal cuore della loro esperienza claustrale, ci raccontano che per pregare bene è necessario seguire la liturgia perché è lì «che si attua il mistero della salvezza, soprattutto nell’Eucaristia, nella quale si riceve Cristo, si commemora la sua Passione».
Lo racconta mostrando un libro, le Costituzioni delle monache dell’Ordine dei predicatori, che spiega in maniera chiara ed efficace la strada che scelgono di seguire una volta indossato l’abito: “La Messa conventuale sia il centro della liturgia della comunità (…) vincolo di carità fraterna e fonte prima dell’ardore apostolico”. E così la Messa, i sacramenti, la liturgia delle Ore diventano un appuntamento irrinunciabile e, insieme, l’arma del quotidiano vivere.
© Monastero domenicano di Cremona – Foto d’archivio
Un vivere che agli occhi del mondo potrebbe sembrare un estraniarsi, quando invece è tutto il contrario. Queste monache, infatti, sono aggiornatissime su tutto: dall’intelligenza artificiale alle problematiche dei giovani e delle famiglie di oggi. Approfondiscono, studiano, dialogano, ascoltano. Soprattutto, però, pregano. E tengono molto al valore della comunità. Perché la preghiera di ciascuno non diventi una elucubrazione mentale, un sentimentalismo, «la comunità è un grande aiuto. La comunità parrocchiale, la comunità di un movimento o di un ordine religioso sostiene, corregge, raddrizza il tiro. Sempre con carità. Può capitare anche qui in monastero di vivere dei momenti di aridità, ma c’è sempre una sorella pronta a richiamarci all’essenziale. Del resto non lo ha fatto anche Gesù? Ha voluto attorno a sé dei discepoli. Perché è solo dentro una comunione, una comunità che possiamo scoprire in pienezza noi stessi. La comunità tiene vivi, tiene svegli. Altrimenti l’autoreferenzialità prenderebbe il sopravvento».
La loro potrebbe sembrare una vita nascosta, ma in realtà sono tantissime le persone e le famiglie che ruotano intorno alle Domenicane. «Chiunque si avvicini a noi lo fa per il desiderio di Dio, per cercare una risposta alle domande di senso che prima o poi riemergono prepotentemente nel cuore di ciascuno». A volte sono giovani, altre volte sposi, altre ancora uomini già maturi provati dalle vicende della vita, oppure malati, o famigliari di malati, che frequentano il vicino ospedale. Le monache sono lì, sentinelle fedeli e silenziose, pronte ad accogliere.
Dietro quelle mura non ci sono sacrifici e mortificazioni. C’è, innanzitutto, vita. «Al mattino alle 5.30 comincia la preghiera comunitaria dell’Ufficio delle Lodi e poi alle 7 abbiamo la Messa, dopo la Messa il ringraziamento e la meditazione, l’Ora terza fino alle 8.30. Dopo la colazione c’è il lavoro comune, cioè quello al servizio della comunità. E ognuno ha il suo compito. Lavare la cucina, la lavanderia, stirare, accudire le anziane, prendersi cura degli spazi, del giardino, delle esigenze delle sorelle. Poi abbiamo anche dei lavori richiesti dall’esterno, che sono soprattutto lavori per le sacristie, le parrocchie e anche lavori di rammendo di tessuti sacri».
Tutto vissuto nella offerta di sé e nella lode. Con una piccola richiesta a Dio: «Che susciti educatori santi. I nostri giovani hanno bisogno di maestri, di educatori che sappiano suscitare in loro il desiderio del buono, del vero, del giusto, del bello».
E non accade diversamente a Soresina, dove vive la riservata e bellissima comunità delle monache Visitandine. Discepole di san Francesco di Sales, vivono secondo il motto “Non è per la grandezza delle nostre azioni che noi piaceremo a Dio, ma per l’amore con cui le compiamo”.
Sono rimaste solo in sette, delle oltre sessanta che erano in passato, ma non smettono di pregare perché arrivino nuove vocazioni. Lo chiedono non per una questione di numeri, ma perché «è talmente bello vivere per il Signore che vorremmo che fosse un dono per tante altre donne. A volte qualche giovane ragazza si avvicina, chiede, domanda, ma vince spesso la paura, perché il mondo di oggi le domande grandi che uno ha nel cuore tende a soffocarle», ci dice la priora, madre Maria Teresa Maruti.
© Diocesidicremona.it – Foto Paolo Mazzini
Ma è una delle monache più anziane, che prese l’abito giovanissima nel 1966, a dedicarci tempo per raccontare che cosa significhi per lei la sequela a Dio nella preghiera e nella clausura. «So che potrebbe sembrare strano agli occhi del mondo, che non è abituato a vederci, ma la preghiera per noi è la vita stessa. È una preghiera che nasce dal cuore e che viviamo intensamente nella Messa e con la Liturgia delle ore che attraversa tutta la giornata. Ma non manca, nel quotidiano, anche un’ora e mezza di orazione personale. E così sempre siamo richiamate al nostro rapporto con Lui. Perché noi siamo anime consacrate a Dio, abbiamo scelto Lui, l’abbiamo scelto di nostra spontanea volontà. Lui ci ha chiamato, perché è sempre il Signore che precede, non siamo noi a scegliere la vocazione, è il Signore che chiama, ma sfida la nostra libertà. E noi, io, abbiamo corrisposto a quella chiamata. Così tutto quello che facciamo, la preghiera e il lavoro, sono per il Signore».
Dice che forse la preghiera che più le rappresenta è il Magnificat, un tributo alle grandezze che Dio ha compiuto («e continua a compiere», chiosa). Pregare non è un peso, una tecnica ascetica, qualcosa per staccarsi dalle difficoltà del presente. «Preghiera è un tributo di felicità. Preghiamo grate perché Dio c’è, ci ama e non smette di ricordarcelo».